29 Gen 2014
K.K.K. - Karoshi, karojisatzu e Keynes.

In ognuno dei giorni di questa lunga crisi almeno un esperto ci ha spiegato quali sono le vie per uscirne, in assoluto l’opzione più frequente prevede come indispensabile il tornare a crescere come nel ..., indicando di volta in volta un anno del passato come riferimento preferito.

Le modalità di raggiungimento di questo auspicio variano, si va dall’investire in tecnologia, per passare poi all’incremento delle esportazioni e per finire alle modalità di aumento della produttività. Il tutto senza valutare né la portata né le conseguenze di ogni singola opzione. Proviamo a riguardarle insieme.
Investire in tecnologia è un indubbio motivo di sviluppo per il primo che arriva a offrire qualcosa di nuovo. Poi viene imitato e migliorato da altri, si abbassano i prezzi dei prodotti, si rincorrono nuove versioni, … ma la tecnologia non crea occupazione, quindi all’aumento del fatturato si realizza una crescita, ma con un aumento della concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi e con pochi o negativi effetti sul resto della popolazione. 
Per l’esportazione, che piace tanto anche ad Angela Merkel, il punto cruciale è che sposta il problema della riduzione della produzione e della disoccupazione da un luogo all’altro del pianeta, aggravando le condizioni del paese più debole, come dice Keynes “ogni paese dovrebbe trovare la soluzione alla piena occupazione al suo interno”. 
L’unica soluzione sembra dunque puntare sull’aumento di produttività. E qui abbiamo l’esempio del Giappone che, dopo la crisi degli anni novanta, è tornato tra i paesi in crescita. Ma se guardiamo da vicino in quale modo viene realizzata la sua elevata produttività procapite si può intuire quale grande costo, da un punto di vista della dignità umana, subiscano i lavoratori di quel Paese.
In Giappone lo straordinario è considerato il modo concreto del lavoratore di dimostrarsi solidale con l’imprenditore quindi, oltre a non essere retribuito, non ha quasi confini di tempo e riduce il tempo di vita a poche ore al giorno, spesso meno di quelle necessarie al riposo notturno di un adulto.
Unica in contro tendenza la banca Mitsubishi che ha inaugurato un progetto che consente ai lavoratori di ridurre l’orario di giornaliero fino a tre ore per potersi prendere cura dei figli e della famiglia, ma la cultura dell’orario lungo è così inculcata che solo 34 persone su 7000 dipendenti ha colto questa possibilità.
La conseguenza di tutto questo è il karoshi o il Karo jisatzu.

Karoshi, morte per troppo lavoro: per i giapponesi una parola da non pronunciare, ma che è la causa del decesso di circa 9000 persone all’anno, alle quali vanno aggiunte tutte quelle che con il karo jisatzu – un harakiri moderno – si suicidano, morendo comunque di troppo lavoro.

Ci possono essere altre soluzioni?
Forse potrebbe aiutare spostare l’attenzione dalla crescita alla ricerca di altre opzioni.
Una nuova prospettiva potrebbe essere quella di dedicare le energie a ricercare nuove modalità di distribuzione della ricchezza, perché probabilmente quello che si consuma, produce e vende se ben distribuito sarebbe sufficiente per la vita dignitosa di molti, mentre invece anche in Italia a fronte di un 10% della popolazione che possiede oltre il 50% delle ricchezze abbiamo chi vive con meno di 640 euro al mese.