19 Gen 2014
Quando la sfiducia uccide il coraggio di vivere.

Due facce dello stesso dramma: un imprenditore si uccide perché non ha più lavoro – continua ad  aumentare il numero delle persone che non cerca lavoro.

 

La morte per suicidio è una notizia di quelle che lasciano senza parole, che fanno affogare di dolore la famiglia e gettano in un imbarazzato silenzio amici e conoscenti.

Sapere che aumentano le persone che rinunciano a cercare un’occupazione, anche se come leggiamo dal sole 24 ore in Italia ci sono alcuni mestieri in cui manca il personale - ad esempio pasticceri e fornai -, è ugualmente il segno di un profondo scoraggiamento, un lento suicidio che rischia di prosciugare tutta la vita.

Quello che troppo spesso manca nelle nostre città, è una rete di sostegno intorno a chi vive una situazione di difficoltà, manca l’attenzione necessaria a intercettare il disagio prima che diventi dramma, manca la capacità di trasformare il luogo della fuga e della sfiducia reciproca in quello che potrebbe essere un prezioso spazio di incontro e di solidarietà.

Se le case e i quartieri sono costruiti più per isolare e proteggere che per collegare e integrare ognuno sarà sempre più solo di fronte alle sfide e alle difficoltà della vita e avrà davanti come unica soluzione una lunga e dolorosa fuga, fuga dalla ricerca, fuga dal cercare aiuto, fuga dagli affetti, fino alla solitaria fuga dalla vita.

Non ci sono parole per consolare chi resta, ma devono esserci parole e sguardi per sostenere chi sta pensando che farla finita possa essere una soluzione, ognuno di noi deve sentirsi responsabile e in dovere di prendersi cura delle fragilità degli altri per vivere tra cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità e il desiderio di giustizia.

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